Viaggio avventura tra Cusco e Machu Picchu

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Un affascinante viaggio archeologico tra le Ande alla scoperta di alcuni dei luoghi più affascinanti della terra….

di Veronica del Punta  e Massimo Frera – 11 dicembre 2011

 

Ci siamo quasi. Machu Picchu si avvicina. E’ stato un lungo viaggio da Ushuaia (terra del Fuoco) fino a Cusco, l’antica capitale del Tawantinsuyu degli Incas (letteralmente “il regno dei quattro cantoni”), ma ogni volta che ci torniamo sentiamo che l’anima respira libera come se ritrovasse spazi e dimensioni lontane. Certo, i 3.4000 metri s.l.m. aiutano a sentirsi in paradiso, ma il fascino di questa città gioiello incastonata tra le Ande si sprigiona dalle millenarie pietre sulle quali è costruita e ci assale in ogni sua stretta via ciottolata, tra mercanti indios, suoni e colori. Il caos non manca nella moderna Cusco, ma dopo poche ore la retina rimane impressionata dallo sgargiante azzurro del cielo e gli occhi riconoscono le immortali fondamenta Incas prima di vedere le architetture coloniali con cui sono state ricoperte.

 

Capitale dell’impero, al centro della Valle Sacra degli Incas (sacra in quanto fondata per volere divino e sacra in quanto benedetta da un microclima tutto particolare che non fa quasi mai scendere la temperatura sotto gli zero gradi), Cusco ci strega ogni giorno. Importante avere un luogo di riposo vicino a Plaza des Armas e la scelta dell’hostal Teatro Inka è vincente: pratico, simpatico, attrezzato! Il ritmo di visita è molto elevato perché tante e tali sono i siti archeologici nelle vicinanze che i 12 giorni a nostra disposizione potrebbero non bastare! Doveroso iniziare da Sachsahuaman, l’impronunciabile “fortezza” che cinge la capitale dall’alto. La forma di questa triplice cinta di mura ricorda la dentatura di un felino, del puma ancestrale, la cui forma era quella della città originale. Pietre ciclopiche, intagliate perfettamente e messe in opera con una precisione tale che nemmeno un coltello può passarvi in mezzo. Saliamo poi su un “collettivo”, un mini bus sul quale si sale e si scende al volo cercando di indovinare le urla dell’addetto agli stop, per proseguire lungo la strada che porta al “pueblo” di Pisac e poter visitare così Q’enqo, Puka Pukara e Tambomachay. Ognuna di queste costruzioni è sia un avamposto di controllo sia un luogo di devozione ad un elemento della natura, le cui essenze sono alla base della spiritualità andina. Il labirintico Q’enqo nasconde altari scavati nella roccia per l’uso oracolare, Puka Pukara si erge maestosa contro i venti che entrano nella valle e Tambomachay è un inno all’acqua e alla capacità di queste civiltà di incanalarla, domarla, sostenerla.

 

Tornando in città visitiamo il tempio principale della capitale, il Qoriqancha, oggi completamento inglobato sotto la chiesa dominicana costruita dagli spagnoli sopra quello che era il luogo in cui riposavano le mummie dei regnanti Incas, circondati da un giardino con fiori e animali d’oro massiccio. Si dice che un tunnel colleghi questo sito alla collina di Sachsahuaman e ad altri luoghi chiave dell’impero. Un testimone oculare ce lo conferma, ma non è una domanda che possiamo porre ai responsabili del Ministero di Cultura. Con loro ci concentriamo su Machu Picchu. Proprio 100 anni fa, nel luglio del 1911, un giovane professore di lettere e filosofia dell’Università americana di Yale, Hiram Bingham, entra nella cittadella incaica posta al lato opposto della Valle Sacra rispetto a Cusco con una spedizione scientifica. Non fu il primo. Nel 1836 un tedesco ebbe la possibilità non solo di esplorarla ma anche di saccheggiarla e nel 1902 un peruviano si fece accompagnare dai locali ad esplorarla, lasciando incisioni e segni che Bingham si guardò bene dal mettere in evidenza. La diatriba sulle modalità e i meriti della scoperta è infinita, ma oggi – in occasione di questo centenario – il governo peruviano e quello statunitense (grazie a rapporti diretti tra i due Presidenti) hanno trovato un accordo perché ciò che Yale aveva “preso in prestito” potesse ritornare al suo luogo d’origine. Il 6 ottobre di quest’anno l’Universidad San Antonio Abad di Cusco e Yale hanno inaugurato la mostra dei primi pezzi rientrati dagli USA: al Museo Casa Concha (dove abitò il fratello del capo dei Conquistador, Pizarro) si possono ammirare i reperti di Machu Picchu. Siamo riusciti a parlare con i responsabili ministeriali che ci hanno confermato come una seconda tranche sarebbe arrivata entro la fine dell’anno (e infatti così è stato pochi giorni dopo, a metà dicembre) e una terza nei primi mesi del 2012. Manca un catalogo, ma il primo passo ci pare ben avviato.

Non ci restava che avventurarci verso il bosco sub tropicale in cui questa incredibile città – incredibile perché giunta a noi pressoché intatta– si nasconde dal XV secolo. I nostri consulenti sono esperti nel mitico Inka Trail, il Cammino che ogni trekker del mondo vorrebbe affrontare una volta nella vita: 4 giorni a piedi da Cusco a Machu Picchu. America Andina è uno dei 120 tour operator che possono organizzare questo trek. Visto l’incredibile numero di richieste e a fronte dei problemi di stabilità geologica del sito, da qualche anno solo 2.500 persone al giorno possono affrontare questo sentiero (un numero che comprende anche i portatori, che sono circa 5 per ogni trekker!) e anche gli ingressi a Machu Picchu sono limitati (seppur resi flessibili da un complesso algoritmo). Lungo il cammino si incrociano diversi siti archeologici quasi tutti luoghi di culto e riposo lungo la strada che porta alla cittadella. Giunti all’Inti Punku (“porta del sole”) la vista toglie il fiato: quattro giorni con altitudini che oscillano tra i 2.000 e i 4.100 metri s.l.m., otto ore al giorno di camminata e poi ecco che tutta la fatica scompare in un istante! Machu Picchu pare appollaiata su un colle verde smeraldo, protetto alle spalle dal robusto Wayna Picchu (”la montagna giovane”, mentre Machu Picchu è “la montagna vecchia”) e affiancato dal tranquillizzante Putucusi, mentre tutt’intorno i toni del verde fanno a gara a chi lancia riflessi più intensi, grazie al gioco delle costanti nubi che avviluppano la zona praticamente ogni giorno. Un segno tangibile che la selva amazzonica respira sotto di noi! Due giorni di esplorazione quasi non bastano ad entrare in ogni anfratto di quella che probabilmente era un avamposto sacro in quanto luogo di smistamento delle foglie di coca coltivate in selva, che all’epoca erano destinate solo ai regnanti Inca e a pochi alti funzionari statali. Mai terminata, la città venne ampliata costantemente fino alla sconfitta degli Incas e gli Spagnoli non si spinsero mai fin quassù perché la zona non conta miniere nel sottosuolo, né favorisce scambi mercantili.

 

Lo stupore rimane con noi per diversi giorni, anche mentre visitiamo una famiglia indigena nei pressi della sperduta località di Amaru (per assaggiare il cuy, il porcellino d’India, cucinato alla maniera tradizionale) o nel bel mezzo delle visite dei siti di Pisac e Ollantaytambo, nonostante anche questi ultimi abbiano una maestosità che può schiacciare la mente del visitatore.
A Machu Picchu piantiamo virtualmente la bandiera del progetto “ANDE 2011” di www.arkeomount.com, tre mesi sulle Ande per raggiungere il luogo simbolo dell’archeologia americana nel centenario della sua ri-scoperta. E sapete cosa leggiamo sul giornale quel giorno? Machu Picchu ha vinto una selezione online del periodico americano Huntinghton Post: oltre 100mila persone lo hanno votato come luogo da vedere prima di morire. In finale ha battuto le Piramidi di Giza..

Foto di questa gallery: Veronica Del Punta  e Massimo Frera.

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